Giuseppe Gioachino Belli - Tutti i sonetti romaneschi [Pdf Rtf Epub - Ita][TNTvillage]


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Giuseppe Gioachino Belli - Tutti i sonetti romaneschi
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Description



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[font=Arial Black]Tutti i sonetti romaneschi

Giuseppe Gioachino Belli
[/font]



Cover

http://img16.imageshack.us/img16/2794/covbll.png




Dettagli

Autore: Giuseppe Gioachino Belli
Titolo: Tutti i sonetti romaneschi
Anno: raccolta dei sonetti scritti tra 1818-1849
Curatore: Marcello Teodonio
Lingua: Ita
Genere: Narrativa
Dimensione del file: 34,9 MB
Formato del file: Pdf, Rtf, ePub


[quote=Evidenzio]
La raccolta comprende:

Tutti i Sonetti romaneschi, Vol. 1°:

comprende i Sonetti n°1 ---> n°1144
del periodo 1818-1834

Tutti i Sonetti romaneschi, Vol. 2°:

comprende i Sonetti n°1144 ---> n°2279
del periodo 1834-1849
[/quote]



Contenuto

La poesia dialettale del Belli si serve unicamente della sola forma metrica del sonetto, tipica della produzione bURLesca in lingua e in dialetto. I quasi 2330 sonetti, composti soprattutto a partire dal 1830, sono accompagnati singolarmente da un titolo specifico e dalla data di composizione, nei manoscritti autografi, conservati presso la Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele di Roma.
Lo stesso Belli ben presto pensò di raccogliere in modo organico i Sonetti, che egli scriveva con cadenza quasi quotidiana; in una Introduzione del 1830, il poeta giustifica il suo lavoro con il proposito di "lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma". Belli individua il carattere originale di quella plebe nell'assoluta mancanza di alcun rapporto con l'arte e la poesia; essa gli appare immersa in una "favella guasta e corrotta", in un "buio" di ignoranza e distorsione; egli non vuole testimoniare una poesia popolare che a Roma non esiste, ma presentarne una tutta sua, basata sui "popolari discorsi", dando una "immagine fedele di cosa già esistente e, più, abbandonata senza miglioramento". nel trascrivere in poesia i momenti del linguaggio popolare, il poeta si proponeva di restare il più possibile fedele alle caratteristiche fonetiche del dialetto romanesco, approntando un attento sistema ortografico che le rispecchiasse il più fedelmente possibile. Con i Sonetti, Belli rappresenta una plebe abbandonata a se stessa; del resto, la sua poesia non ha alcun intento positivo e non cerca una simpatia, una partecipazione, una solidarietà con il mondo rappresentato. L'uso del dialetto romanesco nel Belli esprime un senso, a lungo represso e covato, di insoddisfazione che pesa su tutta la vita dell'autore: far parlare il popolo romano, estraneo alla cultura e alla storia, senza alcuna speranza, significa fare una letteratura che non cerca nessun ideale e nessuna illusione e nega valore sia all'individuo sia alla società. Si delinea così un estremismo tragico realizzato attraverso la rappresentazione potente della più concreta vita quotidiana, attraverso lo scatenamento di irrefrenabili forme comiche e grottesche. Il diletto diventa così uno strumento comico e tragico nello stesso tempo, rimanendo estraneo alle esaltazioni romantiche del "popolare". Si deve rammentare che la produzione dialettale del Belli consiste in una sorta di espressione "notturna" di una parte di sé irregolare e clandestina: essa infatti era letta unicamente davanti a amici e conoscenti.



Autore

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/9/9f/Belli.jpg/360px-Belli.jpg


ritratto del Belli - riproduzione da stampa ottocentesca



Biografia

Nacque a Roma il 7 settembre 1791; visse un'infanzia e una giovinezza assai difficili, tra il terrore dei parenti di fronte alle invasioni francesi, la morte del padre (1802) e quella della madre (1807); ricevette aiuti da nobili e prelati; ben presto si dedicò alla poesia in lingua e nel 1813 fu tra i fondatori dell'Accademia Tiberina. Nel 1816 sposò Maria Conti, vedova del conte Giulio Pichi, e ottenne un impiego presso l'Ufficio del Bollo e Registro, che lasciò nel '26. In questo periodo la sua vita trascorse più tranquilla e agiata, tra viaggi in varie città italiane e l'approfondimento di molteplici curiosità; con una certa insofferenza verso il chiuso mondo ecclesiastico cui era legato, si accostò anche a idee più moderne, grazie a contatti con esponenti della cultura liberale italiana e alla lettura di testi contemporanei stranieri. Nel 1824 iniziò a compilare uno Zibaldone, utile per conoscere la sua cultura e i suoi interessi; diventa un cieco difensore del regime papale, un esponente di punta della cultura reazionaria romana per il terrore conseguente agli eventi romani del 1848-49. Vive una cupa vecchiaia funestata da disgrazie famigliari e forse dalla coscienza che il mondo che così ostinatamente continuava a difendere era ormai prossimo alla fine; muore a Roma per un colpo apoplettico, il 21 dicembre 1863.



Note

http://i.creativecommons.org/l/by-nc-sa/3.0/88x31.png


LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza
specificata al seguente indirizzo Internet:
[url=http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/]http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/[/url]
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 6 maggio 2002
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Galerati Umberto, [email protected]
REVISIONE:
Galerati Umberto, [email protected]
PUBBLICATO DA:
Davide de Caro

Informazioni sul "progetto Manuzio"
Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell'associazione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque voglia collaborare, si pone come scopo la pubblicazione e la diffusione gratuita di opere letterarie in formato elettronico. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito Internet: [url=http://www.liberliber.it/]http://www.liberliber.it/[/url]

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